VENZONE – 29-30 LUGLIO 2020
Trekking selvaggio
Tappa 1: Da Malga Confin al Rifugio Cjariguart.
Il cielo è di un bell’azzurro pieno, sopra i pascoli di Malga Confin. Nonostante il giorno sia previsto afoso per ora si sta da Dio e lo zaino pesante non pesa mai alla partenza, una volta in spalla. Si va. Con il laghetto di Ungarina iniziano le stazioni del sentiero botanico e le nostre piccole soste contemplative. Ci accompagneranno lungo tutti i due giorni di cammino e saranno una sorta di Via Crucis della conoscenza floristica che ci eleverà spiritualmente ma anche fisicamente sino alla vetta del Plauris. Il traverso nelle sconfinate praterie del versante sud, da Ungarina al bivacco Coi, è il più bel percorso a mezza costa delle Prealpi Giulie, per vastità e panorami. Ce lo gustiamo lentamente, tra una fetta d’anguria e melone, sotto lo sguardo vigile degli immancabili grifoni e di una furtiva coppia di aquile. Sotto di noi, oltre la distesa di ombrelle del Laserpitium siler, al limitare dei boschi appare, mistico e sospeso nel tempo, il piccolo eremo di Sant’Antonio; più in basso i tetti rossi di Venzone; accanto il bianco letto del Tagliamento scivola dissipandosi nella cappa azzurrina che ammanta la pianura friulana. Folate di brezza allietano l’andar lieve tra questi cespi ingialliti di Festuca pungente (Festuca calva), portandoci la delicata fragranza del Garofano di Montpellier (Dyanthus hyssopifolius), sparso a mazzi tra le alte erbe che ci circondano. Il frinire sommesso delle cavallette annuncia l’imminente calata dei migratori di rientro dal nord, tordine in primis, che di loro faranno scorpacciate. (continua)…
Una slanciata campanula gialla (Campanula thyrsoides) è da applauso, mentre le candide corolle del Lilioasfodelo minore (Anthericum ramosum) sfumano di bianco le macchie verdastre della ginestra stellata (Genista radiata), sfiorite da poco e già piene di piccoli frutti. Dopo tre ore di luminosa camminata entriamo nella fresca penombra della faggeta, sopra il bivacco Coi. Sosta pranzo lineare, in fila e distanziati per pane, salame, insalata di riso, quiche loren e innaffiature di cabernet. Dolci e caffè in rifugio (se ci arriveremo!). Qualcuno si è alleggerito lo zaino, ma per gli altri il peso rimane e da lì a poco, nello strappo di 200 metri in piena faggeta, immota dal vento, sarà un macigno! Ma dal cocuzzolo tra i mughi ci appare la meta: una casetta solitaria laggiù, nel cuore del catino roccioso, attorniata dal tenue verde del praticello alpino. È il rifugio Bellina, il nostro approdo odierno. Ci manca ancora una mezz’oretta ed anche la tappa clou, quella del ghiaione a Festuca laxa che conserva la perla di questo monte: la Gentiana froelichii. Eccone una, ferita da qualche incauto scarpone. Col senno di poi meritava una sosta, visto che è stata l’unica osservata! (continua) …
In Cjariguart.
Il rifugio fa il suo dovere: rifugiarci, donarci senso domestico e piacere della convivenza. Così è. Si sorseggia il primo caffè, si assaporano squisite torte e crostate, si corregge di grappa e liquori, qualcuno accende il fuoco, sistema i viveri, altri all’esterno giochicchiano a carte mentre da lontano i camosci, provvisoriamente sfrattati dal bel praticello, ci tengono d’occhio. Entra il mestolo nella polenta borbottante, ed è subito sera… Pitine e petucce scendono dalle Valli di Claut incontrando pomodori e tegoline che si sono arrampicati dagli orti del gemonese; il formaggio morbido si tuffa nella soda “torta gialla” dei friulani e il gorgonzola cola in ogni dove come glassa. Vinelli insidiosi orchestrano il banchetto e intanto fuori tramonta nella cappa d’afa serale. Di tramonti ne abbiamo visti già tanti. Certo, ognuno è diverso, ma anche la compagnia non è mai la stessa. La luce pian piano entra tutta nelle candele e la montagna avvicina la pioggia al tetto dell’accogliente struttura. Qualche mano a carte (ogni vincita equivale ad un congruo numero ci ciliege sotto spirito o qualcosa del genere) e abbondanti sbadigli indicano la via da seguire. “Anin a nane fruz!”. (continua)…
Tappa 2: Dal Rifugio Cjariguart a Malga Confin
Le quattro del mattino son giorno quasi fatto “in mont”. Venere, piazzato sulla selletta sotto il Plauris, assomiglia alla torcia di una escursionista partita in solitaria per l’alba sulla cima. Marte, distaccato ed evasivo come al solito, plana sui roccioni a sud, sbiadito al rischiarire. Giove e la Luna crescente si sono coricati da un pezzo, dopo le piogge notturne. Giù da basso il verso di una civetta che ha tirato fino a tardi accende il mattino degli uccelli ed in breve, dopo lo scricchiolare del pettirosso, partono capinere, luì, cince e tutta l’orchestra. La colazione non convenzionale, che spazia dal caffè alla polenta arrostita e formaggio, immette energie fresche per affrontare la salita del giorno, che inizierà subito dietro al rifugio. Riordinate le stanze dei bagordi serali, lustrate le stoviglie, sanificato anti-covid il tutto, in marcia! Serpeggiando nel labirinto della mugheta termofila: quella con ciclamini e fragoline e non quella fresca a mirtillo e licopodio, puntiamo alla cima. È giunto il tempo dei panorami alpini, verso nord, mentre ieri ci siamo persi in quelli meridionali. Appare la prima corolla di Geranium argenteum, semichiusa e rugiadosa, segno inequivocabile che si inizia a salire sul serio. Da lì a poco affrontiamo il solito ascensore del ghiaione mobile che come sempre funziona solo in discesa; cerchiamo sfiduciati e sudati una corolla di froelichii ma quella ha deciso di non presentarsi all’appello quest’anno; agguantiamo la crestina che apre la porta al sole del sud e con quattro passi ben piantati ci catapultiamo nel pulpito supremo a quota di classe 1958. È fatta! È fatta un corno! La tormentata via del rientro vedrà venirci in soccorso una carriolata di stelle alpine sul tappeto dei geranei argentei, tra i diamanti incastonati delle campanule di Zois: saranno solo un fugace diversivo alla sofferta picchiata perchè fino in Forca Slips ci sarà tanto, troppo terreno per stambecchi a quattro zampe. Ma noi ne abbiamo solo due (i bastoncini non si contano!). Finalmente in forca, dove sboccia una Ribolla gialla; qualcuno tenta l’ultimo aperitivo al pomodoro sotto il dente affilato del Cuel Mat. L’affaccio sui pascoli di Confin non dista molto, ma la discesa finale sarà ancora lunga, sostenuta solo dal miraggio di una radler o una birra. E che sia fresca, vi prego!