CASTEL VALDAJER – 9 AGOSTO 2020
Montagne verdi
Nella canzone “Montagne verdi” si evoca da subito il ricordo quale sostegno su cui ancorare il vortice malinconico del passato. Le montagne spesso servono a questo: sono rampe di lancio dei nostri ricordi, di passate avventure, escursioni, piccole imprese. Nei rifugi i discorsi serali sono quasi tutti pregni di questa retorica epopea basata sul ricordo dei tempi andati. Camminando sulle montagne verdi della Carnia, quelle che si sviluppano sulla fascia centrale, dal Crostis al Paularo tanto per capirci, dominata da substrati arenacei e occupate da rigogliosi pascoli e alpeggi, riflettevo oggi sul senso del ritorno, sarebbe meglio dire, più che ritorno, della ripercorrenza. Notavo che una montagna, già esplorata molte volte, si ripresentava come “inviolata” ai miei occhi e ricca di nuove informazioni. Forse la memoria mi ha abbandonato e pertanto non ricordavo più d’aver già visto certe piante o pieghe delle rocce o scorci e paesaggi lontani, ma non credo. Più probabile è che ne avessi colti di diversi rispetto alle altre volte che c’ero stato. In più non mi destava malinconia il tempo trascorso, gli anni passati, la “vecchiaia” che avanza. Provavo invece una felicità sottile, intima e intrasmettibile, nell’essere ancora qui, ora, vivo, sano e soprattutto curioso. Potrà questa apparente refrattarietà al ricordo essere interpretata come una curvatura egoistica della mia vita, ma per me non lo è e quello che ho capito oggi, camminando sulle montagne verdi, è che il verde dei prati-pascoli, a dire il vero un po’ ingiallito dall’arrivo dell’autunno, si rinnova continuamente e noi dovremmo coglierne sempre con piacere il cambiamento, senza fermarci a ricordare, o se proprio non possiamo farne a meno, ricordare il meno possibile, e vivere con lo sguardo sempre in avanti, sempre di dettaglio, di scoperta.