MALGA LOSA – 16 AGOSTO 2020

Uno di poche parole

Come gestiamo il nostro silenzio? Che peso diamo alle parole quotidiane, quelle leggere o serie dei discorsi, delle chiacchiere, non quelle “tecniche” utilizzate per il lavoro e le attività? Come le dosiamo? Su questo argomento in montagna c’è molto spazio per riflettere, soprattutto se lo sguardo è aperto sui verdi sconfinati delle praterie alpine ed il percorso non costringe a particolari impegni fisici e non richiede specifiche capacità tecniche. Pertanto il giro delle malghe, da Losa a Campo, passando per Forchia, Valuta, Monteriù, è il tracciato ideale per questo esercizio dedicato più che altro all’ascolto. Quassù il silenzio non è una dimensione da riempire, ma un valore da cogliere e, se possibile, conservare. Camminando in leggera discesa verso Casera Forchia sento i miei passi secchi sui sassi della strada, e l’espandersi del suono dei campanacci delle mandrie al pascolo. Dietro una curva un belare sommesso scende dal ripido pendio, dove bassi abeti crescono stentati e compatti, e mi induce a una breve sosta e a tendere l’orecchio. Pochi tendono l’orecchio oggigiorno. Non ce n’è più bisogno, ma il cacciatore che è ancora dentro qualcuno di noi non ha perso il vizio di ascoltare in silenzio il silenzio e le sue delicate sfumature, che sono frullio d’ali celato oltre la balza di un colle, struscirare fronde e frusciare sospetto dietro un cespuglio. Proseguo in solitudine, origliando il ronzio dei bombi su spinosissimi cirsi lanosi (Cyrsium eriophorum), mentre mi avvicino al gorgogliare di piccoli rii che tagliano il verde declivio. Un grido di poiana mi fa alzare lo sguardo; questo lo avranno sentito tutti spero. Rifletto sulle parole dette a vanvera, come riempitivo, tanto per dire qualcosa e tracciare un ponte di dialogo tra le persone. Non sono contrario a questo modo di interagire, ma dalla gente che vive le estati in malga colgo il senso delle parole misurate e ben dosate, come il respiro e i passi a fatica sull’erta. Sarebbe una buona lezione trascorrere qualche giorno con i pastori e malgari, non per apprendere il loro ingegnoso e antico mestiere dell’alpeggio, ma per imparare a gestire le parole quotidiane. Il ticchettare delle punte dei bastoncini e un vago vociare, intercalato da qualche risata, mi riavvicina ai camminatori oltre il bucolico ripiano di Casera Valuta. Anche ridere fa bene, perciò pure le parole leggere e frivole sono utili in fondo. La malgara di Monteriù pare in sintonia con questa corrente di pensiero, e attorno a lei è tutto un ridacchiare e scherzare. Ma camminare assieme, in silenzio, può donare uguale benessere, purché vissuto come gesto di apertura e sintonia. Risalendo con le vacche dal pascolo, il giovane Gabriele, pastore-studente di 15 anni, mi cammina a fianco in silenzio, o chiamando per nome questa o quella bestia che sembra attardarsi tra le alte erbe. Apprezzo questo silenzio del compagno di un si breve cammino; lo trovo corroborante. Apprezzo pure il silenzio del cacciatore di casera Campo, intento a leggere un libro, con il binocolo in mano: ci sono impronte e segni di cervi ovunque qui attorno. Non lo vedo come uno spietato killer di natura, piuttosto un saggio che prima di premere il grilletto recita un’Ave Maria; e poi quel suo calmo occuparsi della baita, come un monaco tibetano che tiene in ordine un monastero, lo accomuna ad un mistico sognatore delle vette. Ma siamo giunti sin qui per incontrare il Grande Vecchio dei boschi di Carnia: il larice di casera Campo. Oggi il silenzio più pieno di significato l’ho colto ai suoi piedi. Solitario, in mezzo al pascolo ormai invaso dai cespi del migliarino maggiore (Deschampsia cespi tosa), l’albero di 500 anni e più ci accoglie senza proferir parola, e tale resta il suo atteggiamento durante la nostra breve apparizione meridiana. Probabilmente avremmo dovuto sostare più a lungo, o tendere l’orecchio con più attenzione invece di concentrarci sui selphie, ma non credo. Penso piuttosto che non avesse nulla da dirci, perché le parole hanno un peso e in montagna il peso va contenuto, misurato, ponderato, minimizzato, scelto, dosato, come gli aghi dei larici…Ogni eccesso è uno spreco e questo grande vecchio non può permettersi di sprecare nulla, intento com’è a pensare al suo futuro.

La vastità dei pascoli alpini che circondano gli edifici di Malga Losa, sui monti sopra Sauris, lascia sempre stupefatti. I silenzi contenuti nell’enorme vallata verso il Col Gentile mi inducono a riflettere sul valore delle parole e sul loro uso misurato.