TARCENTO – 21 OTTOBRE 2020

Duelli cromatici

Chi l’avrebbe mai detto che a due passi da casa ci sono ancora posti inesplorati? Inesplorati da me, s’intende! Guardavo ai monti che incorniciano il paese come a delle zone note e percorse in lungo e in largo. Trascuravo piccole pieghe, basse creste, rilievi minori. Oggi siamo saliti attraverso una di queste dorsali ad una piccola cima, una gobbetta poco pronunciata, scoprendola con stupore bella e selvaggia. L’erba vi regna ancora, nonostante la bassa quota e l’assedio d’invadenti noccioli, ornielli e betulle. In realtà le betulle non sono sfacciate come i noccioli, piccoli monelli. Le betulle entrano nei prati abbandonati con discrezione, quasi bussando alla porta che immette in questi spazi aperti, luminosi, che hanno quel terreno argilloso e frequentemente umido di cui vanno matte. Crescono veloci, salendo spedite al cielo con i loro teneri rami bianchi, senza allargare macchie d’ombra sulle alte erbe selvagge che spadroneggiano nei piani e sui ripidi versanti a solatio. Si tratta di un’erba tenace, indigesta ai selvatici: la Molinia arundinacea, o gramigna altissima.

(Continua…).

La stagione dei colori sorprende sempre. Ogni anno ci stupiscono tutte queste tinte, che in parte avevamo dimenticato. Ci sorprende ancor più nei luoghi che scopriamo per la prima volta, donandoci un meraviglioso imprinting emotivo.

Con i suoi ciuffi compatti invade i vecchi prati da sfalcio e scaccia tutte le altre piante erbacee, senza troppi complimenti, fiori compresi. Vi resiste qualche sparuta centaurea, o una temeraria genziana mettimborsa, ma son poca cosa di fronte al dilagare dei molinieti. Solo la felce acquilina fa contro alla gramigna altissima, combattendo per conquistare questi spazi aperti, dove la luce vitale giunge diretta dall’alba al tramonto. Le due contendenti finiscono per spartirsi il territorio, mantenendo i ranghi serrati, a macchie compatte. La molinia si prende le postazioni in pieno sole perché odia l’ombra, che la fa deperire, mentre la felce, più tollerante, si addossa al mantello boschivo in espansione, aspettando che gli alberi prima o poi gettino ombra sulle molinie, per prendersi la rivincita. Duelli come questi, sebbene combattuti in silenzio, lontani dal nostro mondo, sono all’ordine del giorno nel mondo vegetale. Anche i bei frassini maggiori, compagni inseparabili degli aceri di monte in nei boschi lussureggianti tutt’attorno alla dorsale, stanno combattendo la più difficile delle battaglie, contro il fungo Chalara fraxinea, che ne provoca il rapido disseccamento. Gli aceri tingono di giallo il bosco e guardano con preoccupazione alla salute dei loro “amici di merende”, con i quali competono certo, ma in gare amichevoli per salire il più veloce possibile verso il sole, non certo per avvelenarsi vicendevolmente il terreno come fanno molte altre piante. La scorsa estate i fusti ed i rami secchi dei frassini colpiti dal fungo spiccavano tra le chiome verdi che ammantano le valli attorno. Si distinguevano bene, al punto che osservando il bosco da fuori era possibile censire con esattezza le povere piante morte in piedi. A breve cadranno le foglie giallo acceso dagli aceri, assieme a quelle meno colorate dai frassini ancora sani. Questi andranno così somigliando ai loro fratelli seccati. Così, tra poco, nei boschi spogliati non sarà più possibile distinguere i morti dai vivi. Forse è proprio per questo che celebriamo in questo periodo la festa dei morti, derivante da quei riti celtici incentrati nell’incontro tra i due mondi: quello di qua e l’aldilà. Tra poco, nel bosco, e secondo i druidi anche altrove, tutti i vivi si avvicineranno al mondo dei morti; i duelli cesseranno e regnerà la pace, almeno nel bosco, in attesa di un nuovo inizio.