TANAMEA – 8 DICEMBRE 2020
Bianco o nero?
Con sfacciataggine prendo a prestito le tue parole, Pierluigi Cappello, per ricalcarle su questo pomeriggio bianco e appartato. È che quando calpesto neve in un luogo infantile come Tanamea, e metto impronte su altre impronte, il tempo presente si sovrappone ai tempi vissuti e la neve fresca a quelle passate. Così, “… mentre nevica il tempo sulla neve che sei stato / sui passi contati e poi coperti dal bianco …” mi ritrovo nell’intimità di certi versi “ … nel silenzio che sgretola gli animi e qualche volta / ci spinge in alto, in alto / dove ci sono parole che erano sassi / dette di punto in bianco, nel freddo / lasciate alla confidenza delle nuvole; …”. Alla confidenza delle nuvole, appunto. Non servirebbe aggiungere altro. Camminavamo questo pomeriggio nel cuore del bosco, un bosco giovane, di faggi che stanno lentamente crescendo. La neve cadeva copiosa, inclinata e sospinta da un leggero vento da est. (continua…)
La seconda neve, quest’anno, è quella giusta. Così abbondante da lasciarci spiazzati, così puntuale come non si vedeva da anni. È giunta senza chiedere nulla in cambio, come sempre. Sarebbe giusto onorarla facendole visita, in silenzio …
C’era là in mezzo una zona acquitrinosa, dove il manto bianco non penetrava. I fiocchi scendevano sull’acqua e formavano una superficie grigia dalla quale emergevano slanciati fusti scuri. Era uno spazio immoto, dove il silenzio, sfiorato solo dal rumore dei fiocchi, ampliava la misticità del sito, trattenendovi ricordi, e parole. Le parole del poeta, ed anche quelle della gente; scritte, o dette, pensandoci su, ascoltandosi dentro. Parole sensate, essenziali. Solo alcuni fiocchi giungevano sulla superficie immota dell’acquitrino, posandosi al limite tra aria e acqua. I più si fermavano sui rami del soffitto di questa magica stanza, trattenuti, come frasi inutili, dall’intreccio protettivo dei rami, per precipitarvi poi goffamente, a piccoli grumi, che lentamente si scioglievano al contatto tra le due fasi. Il mio rapporto con questa neve non è spensierato e rassicurante come solitamente la neve ci induce a instaurare con lei. Generalmente inciampo su domande che non avevo intenzione di pormi, perlomeno non nel mezzo di questo beato candore. Oggi ad esempio, passeggiando in boschi sublimi, a causa del vento i tronchi apparivano per metà imbiancati e metà neri. Oltre ad ammirare questo indecifrabile tao vegetale, mi chiedevo quale fosse la vista migliore e, metaforicamente, il vero volto d’ognuno, a quale lato del bosco corrispondesse. Guardando avanti, controvento, apparivano i fusti scuri, lineari, ordinati, che si stagliavano solitari contro l’atmosfera bianca. Voltandosi indietro il paesaggio era all’opposto candido: i fusti scomparivano, i rami, il cielo e il terreno si confondevano nel bianco. Era come osservare, dallo stesso punto, le due facce della medaglia. Guardando di fianco si poteva cogliere tra quei fusti slanciati l’equilibrio tra la parte innevata e quella scura, una sorta di Yin e Yiang verticale. Tuttavia nella prospettiva sfuggente del bosco l’insieme virava inevitabilmente verso l’una o l’altra delle due facce, delle due opposte verità. Mentre d’appresso, a tu per tu, puoi avere un buon punto di vista, puoi capirci qualcosa su chi ti sta di fronte, se includi più spazio, contestualizzi, allora è molto difficile trovare un punto di vista univoco, completo, chiarificatore, e probabilmente sbagli nel giudicare, anzi, sbagli sicuramente. Perché, fondamentalmente, che ne sai tu, che non sei nuvola, e non puoi conoscere le parole sincere, dette in confidenza, che solo le nuvole ascoltano? L’intima neve di Tanamea oggi mi ha insegnato anche questo.