UGOVIZZA – 27 AGOSTO 2020
No Ciurciui
Stamattina lo zaino era insolitamente leggero. Mi chiedo: avrò messo tutto quanto? Mi rispondo: e cioè cosa? In auto ripasso mentalmente i rituali del riempimento. La memoria latita e pertanto resto con il dubbio, anche se dentro me ormai cova la convinzione che se dimentico qualcosa di importante non è dalla differenza di peso che me ne accorgerò; e poi negli anni sono andato via via alleggerendo il fardello che mi butto sulla schiena. Fatto sta che ‘sto superfluo, che nel tempo ho imparato, senza volere, a tralasciare, oggi si nascondeva nel nome della meta: Ciurciule. Cosa vorrà mai dire il bizzarro toponimo che suona di un bel friulano, ma è incastrato in una disparata landa selvaggia metà tedesca e metà slava? Ciurciule ha, dalle mie parti, nella cerchia ristretta degli amici più intimi, il significato di cianfrusaglia: cosa inutile, ma anche “cjosul”, oggetto un po’ inutile e solitamente acchiappa polvere, tipico delle mensole o disperso dentro le borsette, che non vuol mai uscire e servire: “un ciurciul mo!”. L’insieme di queste cose inutili, che solitamente finisce tra i premi dell’annuale “tombola delle pulci”, imperdibile tradizione natalizia della ristretta cerchia di cui sopra, viene appunto chiamato “ciurciulame”. (continua…)
Meta remota, il Vallone di Malborghetto: discosto e selvaggio, lontano dai pedanti sguardi social. Scenario canadese da “vita nei boschi”. Thoreau ci sarebbe andato a nozze, così come noi, volentieri. Raramente lasciamo un luogo con una promessa: “ci torneremo”.
Salendo in Ciurciule quest’oggi, ovvero salendo alla Sella Collarice che immette nel Vallone di Malborghetto per poi discendere nella verdissima conca che accoglie toponimo e casetta, mi tornava in mente il “ciurciulame” che spesso riempie non solo borsette e mensole, ma anche la nostra vita, appesantendoci non poco di impegni spesso inutili, discorsi che si dilungano, tappe infinite, quando invece avremmo solo da imparare a vivere osservando ad esempio un torrente, la sua essenzialità. Certo che ci sono cascatelle, pozze, punti dove l’acqua rallenta e poi riparte, rapide e correntini, ma è tutto consequenziale alla gravità, senza orpelli, lungaggini, senza “ciurciulame” insomma. Là giunti, dopo tre ore di cammino, allontanandoci decisamente dalla complessa civiltà che comunque ci sostiene e ci permette di viver tutto ciò, ci siamo essenzialmente trovati, senza fronzoli e cose superflue. Acceso un fuoco essenziale, è spuntata una pentola semplice ed ammaccata, una mazza di tamburo e un piccolo porcino raccolti nel bosco di abeti bianchi, pecci e larici. L’antipasto era servito: funghi alla piastra, senza superfluo condimento. Qualcuno aveva portato il melone dal suo orto, solo quello, e qualcun altro aveva nello zaino del prosciutto crudo ancora incartato. Così, casualmente, e senza mettersi d’accordo, come per gravità (nel senso della forza, non di preoccupazione), ci hanno preparato un essenziale prosciutto e melone. Sul tavolo in legno grezzo (larice annerito dal tempo) c’erano un temperino, un pezzo di pane tagliato in sette, del formaggio caprino e acqua di fonte. In questa semplice cordialità abbiamo condiviso cibi e frasi essenziali. Un caffè è cianfrusaglia? forse sì, comunque stava bene con i biscotti di Luciana. Ora, non vorremmo far passare l’escursione a Ciurciule e Ciurciule stessa per una semplice gozzovigliata: sarebbe come infilare un cervo, di Ciurciule (c’erano fatte in ogni dove tra le genziane cigliate del prato), nella cruna di un ago. A proposito, anche l’ago si è rivelato essenziale per togliere una spina! Ma Ciurciule, ovviamente, è molto di più di questo: è la fronda del pino silvestre suo guardiano, che ondeggia anche se non la guardi, anche ora che stai leggendo, anche stanotte e il prossimo inverno; è in grande pero selvatico di duecento anni: palazzo dei licheni, ombra dei caprioli; son le geometrie essenziali del nido delle vespe cartonaie negli scuretti verdi sempre chiusi della baita; è un torrente di luce che, come al confine tra l’essere e il non essere, svanisce nella bocca nera di una forra. Ma se ti avvicini scopri che non era nero e c’è sostanza anche oltre l’apparenza. Ciurciule oggi, il nostro andare, oggi, è stato molto più di un semplice sgranocchiar fette di funghi alla piastra o succosi meloni. È stata la dimostrazione che se la mattina hai spazio nello zaino e non capisci, un perchè lo troverai strada facendo: difatti al ritorno era pieno di emozioni, e trombette di morto (buone nel risotto)!