ASIAGO – 10/11 OTTOBRE 2020

Due giorni sull’Altopiano

Ogni due passi un ricordo, una testimonianza, che si traducono in un monito univoco: basta guerre. Quassù, tra le morbide e verdeggianti ondulazioni della conca, o lungo i margini rilevati del suo bordo roccioso, non è possibile eludere la storia dal programma escursionistico; non si può camminare nella natura senza incappare in un segno della Grande Guerra: un solco nella roccia, un avvallamento nei prati, una targa in memoria, un cartello didattico, un forte corazzato. Così, in un sonnacchioso sabato mattina d’ottobre, dopo un veloce passaggio sul romantico Ponte Vecchio di Bassano, dove la grappa, gli alpini e il Brenta si mescolano ai piedi di martoriate montagne, un’ora di macchina dopo e mille metri più su, sei catapultato nel tempo che ti trattiene, tuo malgrado, come una calamita fissata nel 1916. Era giugno e il monte Fior chissà quante campanule avrà avuto, e bei Leontodon, e ciuffi di garofanini incastonati nelle sue caratteristiche rocce dagli strati orizzontali. Ma i fanti sardi e gli alpini veneti, che vedevano il loro destino piombare sibilando e sollevare zolle di pascolo appena rinverdito, non sapevano i nomi dei fiori sopra i quali giacevano. A noi oggi interessa invece saperlo, e dobbiamo forse a loro la possibilità di conoscerlo. O forse questa è solo retorica, e se non ci fossero stati quei giovani martiri, magari tutto sarebbe come ora, o magari soltanto conosciuto in un’altra lingua. Vai tu a sapere come sarebbe andata a finire, come va a finire la storia se ne cambi una carta. A prescindere dall’esito degli eventi, resta il gesto inalienabile, l’atto dovuto o voluto che ha condotto quei giovani soldati tra le arzigogolate trincee del Fior, che ricamano incomprensibili arabeschi sulla schiena tonda del monte. Resta il fatto che questi angusti corridoi di pietra accoglieranno per sempre i loro passi, le loro sofferenze.
(continua)…

Ci sono terre alte, più o meno pianeggianti, definite altopiani, e poi c’è l’Altopiano, quello grande, inequivocabile: l’Altopiano di Asiago. Da qualunque parte ci si salga, si giungerà in un mondo speciale, nettamente diviso, e diverso, dal mondo di sotto.

Sul mezzogiorno, tra le nuvole che risalgono il versante e lambiscono i pascoli ingialliti, nel tepore che precede l’arrivo imminente della neve, l’atmosfera è rasserenata da un coltello affilato, un cavatappi e un bicchiere. Buon formaggio, salame e merlot rallegrano la compagnia.
(continua) …

Il monte Cengio, dalla parte opposta dell’Altopiano, verso occidente, è avvolto dalla nebbia, ovattato nella sua parte più esposta. Celati dal bianco gli strapiombi, resta l’ardita mulattiera di arroccamento, da percorrere in salita, fuori e dentro caverne ed angusti ricoveri. Anche qui mi domando se i granatieri, che hanno difeso fino all’ultimo la rupe dei raponzoli di roccia, fossero in cerca bei fiori da portare alle loro belle. Magari stelle alpine, che non vivono su queste balze. Certamente non avevano tempo di pensare a queste cose mentre tentavano, con le baionette e senza più pallottole, di arginare l’onda di piena di austroungarici che gli piombava addosso. Più su, nel silenzio, tra contorti faggi colorati, immersa nella nebbia, spunta la grande croce e un piccolo tricolore, che il vento umido fa sbandierare verso l’alto, contro gravità; tutto ciò infonde un semplice e riservato senso d’appartenenza, di nazione. È un messaggio ancora vivo, che si percepisce nitidamente, senza fraintendimenti. (continua)…

La sera giunge sull’Altopiano, trascinandosi dietro le piogge abbondanti dell’autunno, che cadono sui cervi in amore, sulle mazze di tamburo, sui solchi silenziosi delle trincee. È tempo di convivi, fratellanze, tempo di allungare i piedi sotto il tavolo. (continua)…

La nebbia e l’Altopiano sono due facce della stessa medaglia. Talvolta le puoi vedere contemporaneamente, quando una cala sull’altra come se non vi fosse confine, spessore. Percepirai allora l’essenza del luogo, fatto sia di cose reali, come i prati falciati alternati agli incolti, le stradine sinuose, le case isolate, le malghe, le macchie di bosco, sia di essenze eteree, di popoli misteriosi scesi dal nord, favole, lupi. Se poi vagherai in questo quadro irlandese, sospeso tra reale e fantastico, senza una meta precisa, lo smarrimento sarà diletto, idillio. La nebbia scende a posarsi sui piani sinuosi e gli avvolge di poesia, aizzando lo spirito verso fantastiche fughe in altre dimensioni. Il verde dei prati, le recinzioni di filo spinato che li dividono in piccoli spicchi di terra, i cardi spinosi ormai secchi, le gocce d’acqua sugli steli, sono la cornice ideale della tela impressionista. A bordo strada gocciolano le ultime corolle. Si condensa il fiato dell’Altopiano nelle minutissime stille della grande alchimista: la Natura. Le campane dei paesi spagliano nei prati ancora verdi il richiamo ovattato di una domenica autunnale. È l’ora della nostra alchimia: l’ora del caffè. (continua)…

Termina così, con una passeggiata nel gigantesco tavolone di caselle in biancone e rosso ammonitico, pietre scese dall’Altopiano per ornare la Piazza degli Scacchi di Marostica, il nostro Asiagotrekking. Due giorni sull’Altopiano, giorni scanzonati, ma con moderazione, vissuti con il riverbero emotivo dei ricordi di Emilio Lussu. Ricordi ancora vivi, inalienabili, per sempre legati a queste terre, alle loro grandi sofferenze che soltanto la bellezza, la perfezione delle ammoniti, la lucentezza dei prati in fiore ed il candore delle prime nevicate possono, in parte, addolcire.