RAGOGNA – 31 GENNAIO 2021
Ellebori e pronubi
I veri petali si sono nel contempo trasformati in nettari nuziali, coppette che secernono e contengono la ricercata sostanza zuccherina in grado di attirare insetti, uccelli e rettili in ogni angolo di mondo. Ma quali impavidi impollinatori potranno mai indugiare su tali meravigliose corolle, che allietano con candide vampate primaverili un sottobosco rinsecchito e ancora dormiente? Che audaci pronubi riconosceranno con i loro recettori le splendenti gemme albine in questo gelido pomeriggio di gennaio? Qui non vola una mosca. Tutto è immobile nel versante nord del Monte di Ragogna, tutto tranne l’acqua laboriosa dell’immenso Tagliamento che ne incide metodicamente i fianchi e che, chissà quanti decenni o secoli fa, vi ha “seminato” un rizoma di elleboro nero, strappato probabilmente dalle Alpi Giulie, laddove la specie è comune. Un piccolo rizoma carnoso che ha galleggiato per chilometri sulle acque limacciose del fiume in piena, per approdare tra le radici di un ontano o un salice tenacemente aggrappate alla sua riva sinistra ,per opporsi alla forza erosiva. Dalle gemme dormienti di quel fortunato rizoma è cresciuto un primo Helleborus niger, che ha poi attecchito, viste le condizioni gradevoli del versante nord del monte, dando vita a questa ricca colonia meridionale, staccata dall’areale montano. Due popolazioni disgiunte e separate non solo nello spazio, ma anche nel tempo e nel clima, tant’è che le corolle del sud si aprono con uno o due mesi di anticipo rispetto a quelle alpine. Separazione che, dal punto di vista evoluzionistico, potrebbe essere preambolo per nuove speciazioni, l’inizio di quel meraviglioso percorso biologico che è la nascita di una nuova specie vivente. Ma intanto, oggi pomeriggio qui fa freddo, e ci si chiede chi mai potrà volare, con la linfa gelida nei tessuti, alla volta di quel prezioso nettare, seguire tracce di profumi fiorali e adocchiare i candidi sepali appostati alla base dei carpini addormentati, di fianco a biancospini spogli, tra rami marcescenti e massi muscosi. (Continua…)
Chi potrà gustare adesso quel prezioso intruglio zuccherino che, se d’estate è così ricercato, figuriamoci in inverno, quando non abbondano certo le fioriture? Chissà chi è quel coraggioso pronube? Eppure, se ogni anno, puntualmente, a metà gennaio, gli ellebori si ripresentano, sempre numerosi, e se non si sono estinti, vorrà dire che qualche vantaggio l’avranno ricevuto da una fioritura così anticipata. Le corolle ammiccanti di questi tesori del bosco, se oggi non avranno troppa fortuna con gli insetti, per la pioggia appena cessata e le basse temperature a causa del poco sole, con noi hanno sortito l’effetto voluto: attirarci a loro con tanto stupore. Attrazione peraltro inutile perché non trasportiamo polline, facciamo solo fotografie. Eccoci quindi a vagare qua e là come calabroni frenetici, tra il fradicio delle foglie morte, attirati dai grandi sepali bianchi. Tenaci piante, che a dicembre superano il vitale strato di humus del sottobosco con carnosi fusti e boccioli rosati. Si ammassano a mazzetti sotto le lamine verdi delle foglie coriacee; infine si allungano quanto basta per esibire al mondo lo stupendo fiore, denso di stami gialli, di polline, di nettare. E un mesetto dopo, quando nel frattempo si sono risvegliate le altre piante del sottobosco, che tappezzano con corolle multicolori, gli ellebori neri sono già mutati, lasciando al posto dei teneri fiori bianchi i coriacei follicoli carichi di semi, che disperderanno in primavera. Con un po’ di fortuna qualcuno di questi granelli vitali radicherà e germoglierà in un nuovo individuo, rinnovando la colonia. Ma allora gli insetti impollinatori c’erano, eccome! Siamo noi che, come sempre, ci accorgiamo di poco e niente.