FAGAGNA – 15 GENNAIO 2021

Fondali dell’anima

M’impressionano i nidi dei rapaci, abbarbicati sulle rupi, o quelli delle cicogne dell’Oasi di Fagagna, in equilibrio su comignoli e pali dell’elettricità. Senza un bordo, danno l’impressione di essere insicuri, non in grado di trattenere il pullo in caso di maldestri movimenti. Destano sicurezza invece certi nidi ben profondi, con un bordo alto, di quelli che cercavo da ragazzo, ove i nidiacei appoggiano il becco in attesa del pasto e dietro al quale si abbassando per nascondendosi, se ad avvicinarsi è un ombra sconosciuta. In tal modo mi apparivano oggi le lunghe catene montuose prealpine, dal pordenonese al goriziano: protettive. Un contorno noto, un confine sicuro, un orizzonte rassicurante, che va ben oltre uno spazio fisico: un luogo dell’anima insomma. Rimirando il grande anfiteatro delle Alpi orientali dal colle della Pieve di Fagagna, un pulpito nella prima cerchia morenica, stupisce lo splendore di queste bastionate di roccia, completamente innevate, luminosissime. Penso al dover lasciare la terra natale per chi è partito emigrante, al peso nostalgico di un simile abbandono. Da giovani forse è più facile andarsene; a quell’età non ci si perde dietro a certe cose, non si spreca il tempo a seguire le ondulazioni di un orizzonte con lo sguardo, non c’è bisogno di un confine noto, piuttosto si tende all’avventura, ad un nuovo spazio. Si balza fuori dal bordo del nido e si va all’assalto della vita. Ma se tocca andare per il mondo quando tali visioni affettuose ti hanno già contagiato, quando il contorno delle cime ha definito un intorno dell’anima, ha “preso le misure” del tuo cuore, allora la questione si fa più seria.
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Le montagne che cingono a settentrione la pianura non hanno soltanto un valore naturalistico ambientale e paesaggistico per i friulani. Appaiono come i bordi di una grande culla, un confine protettivo, noto e rassicurante, che infonde sempre serenità. Perciò dedicano loro ampi sguardi per ricevere in cambio materne consolazioni.

Se poi a qualcuna di quelle cime corrisponde un ricordo, chessò: un’impegnativa ascesa, una bella escursione … allora il legame con certe vedute stringe ancor più. E se dietro una di quelle dorsali imbiancate, ai piedi di una vetta, giace intatto il ricordo di un’amicizia, di un amore, allora il privarti da loro può far male. Perciò la geografia dell’anima è per molti uno spazio affettivo vitale, indispensabile. Per alcuni un legame così profondo con il paesaggio famigliare può anche essere inconscio, al punto che taluni sentono di non volerlo lasciare mai benché non ne abbiano intessuto un rapporto diretto, fatto di contatti con i luoghi, di escursioni e scoperte. C’è come un’intima relazione bio-genetica, che si esprime a livello di super-organismo, quasi di ecosistema spirituale. Perciò chi va per colline friulane in inverno, a causa di restrizioni imposte o per sopraggiunti limiti d’età, chi cammina per prati e per campi spogli, che concedono ampie vedute all’orizzonte montano, non può che sentirsi a casa, e prova una sorta di inspiegabile felicità, nell’osservare la candida giogaia che lo cinge a settentrione. Se poi lo vediamo concentrarsi con particolare attenzione nell’individuare una certa cima, un tal crinale o una gola, è probabile che i ricordi gelosamente custoditi da quel dato luogo rafforzino in lui quel senso di benessere e di pace che non è possibile descrivere. I capienti fondali del Friuli collinare, fondali dell’anima, li contengono tutti, li preservano, e ad ogni inverno li espongono, come garanzie d’identità, bordi materni di nidi, e nuove promesse d’incontri.