BUTTRIO – 23 GENNAIO 2020
Anin a violis
Queste colline isolate, a dieci minuti d’auto dalla città, si sono “recentemente” ridestate dal letto di ghiaie della pianura udinese e lentamente si stanno sollevando (nella scala dei tempi geologici qualche decina di milioni di anni equivale a qualche ora della nostra vita). La loro modesta quota è tuttavia sufficiente a concederci spettacolari vedute del centro del Friuli verso la giogaia dei rilievi che a settentrione racchiude in un prodigioso abbraccio l’alta pianura. Tale location è stata utilizzata dal fotografo Brisighelli per le storiche stampe che ritraevano un vasto Friuli agreste, punteggiato dalle candide sagome dei paesini con al centro le punte dei campanili. Fortunatamente intatta ci appare ancor oggi, o quasi, la nostra amata terra, vista da questi poggi panoramici. Ma come dicevano siam qui per violette, e con noi c’è come sempre in questa ricorrenza Meni Ucel, con la sua poesia A Violis: “Si lave a violis. Dute la riviere / ‘e jere di soreli pai rivâi / ‘ne sagre te fluride primevere … ”. Inseguiamo il sole verso il suo declinare e poco prima del grande tuffo nell’orizzonte terreno, dopo aver attraversato ville storiche con misteriosi parchi dove crescono le sequoie, oltrepassato la trama ordinata dei rinomati vigneti scandita dalle scure sagome colonnari dei cipressi, raggiungiamo il lungo muro del castello di Buttrio, le cui pietre arenarie, già ocracee per loro natura, s’incendiano agli ultimi raggi caldi del giorno invernale. Un’ultima balza per la foscoliana sera sotto annosi e pittoreschi pini e poi giù in paese a caccia di un’osteria. E le viole? Una! “Alc a l’è alc…”