TOPOLÒ – 11 NOVEMBRE 2020
San Martino
Nel fondovalle i boschi misti sfoggiano gli ultimi decolté d’autunno: rosso cigliegio selvatico e giallo carpino bianco son le tinte più trendy del momento; non manca qualche punta ocra di faggio e isolate fiammate dorate di un larice mai fuori moda, anche se fuori fascia vegetazionale. Saliamo a Topolò: profonde Valli del Natisone. Nel primo pomeriggio il sole già basso e pericolosamente vicino alla dorsale boscosa. Massimo mezz’ora e tramonta, e dobbiamo ancora iniziare la salita… In controluce si presenta la cima del Monte San Martino; appare e dispare tra i muri in pietra del paese semivuoto e le pergole di vite inchiodate a esili ballatoi. Il castagno non marcisce mai; si fa via via più smilzo, si asciuga come un anziano, mantenendo tenacemente la posizione, assolvendo sino all’ultimo il suo compito strutturale. Case asserragliate, dagli usci lillipuziani e scalette di legno che salgono ai vecchi granai, si stringono ai ripidi acciottolati che giungono in cima ai tetti, dove la spavalda chiesa, dai volumi decisamente sopra le righe se confrontati con le cubature domestiche, batte le 14 dall’alto della sua torre campanaria. Si parte. Rovi e boscaglia hanno cancellato ogni forma di terrazzamento, ogni indizio di passato, camuffando il paesaggio domestico da giungla tropicale. Il bosco in alto è un po’ più in ordine, grazie soprattutto ai faggi: piante diligentissime che non lasciano mai sotto sopra il sotto bosco. Alla Bocchetta di Topolò il sole ha già dato per oggi. Sceso oltre la cima, ci costringe ad un inseguimento veloce, in salita! Ricompare pochi metri prima del traguardo, per poi accompagnarci nel primo tratto di discesa, dopo la sosta panoramica sulla vetta e quella contemplativa nell’attigua chiesetta di San Martino. San Martino di Tours, un grande personaggio che varcò le catene alpine probabilmente da queste parti giungendo dalla natia Pannonia. Tante chiesette friulane e slave sono a lui dedicate, forse perché la povera gente lo venerava per quel suo generoso gesto che lo ha reso famoso. Privarsi di una parte dell’abito, non uno straccio qualunque, la clamide bianca della guardia imperiale, per proteggere dal freddo un mendicante. Tempi lontani, e gesti ancor più distanti… Al ritorno ritroviamo Topolò più silenziosa che alla partenza, sospesa in quella pace crepuscolare che non è più rotta dal muggire di armenti nelle stalle, dai rumori nei fienili, dal lento parlare negli usci. Giriamo uno degli infiniti angoli di questo paese come per tentare di smarrirci. Si accende un lume a olio in una di queste case, una a caso. Qualcuno legge una poesia di Dino Menichini sulle sere d’autunno; storie narrate nei granai, sogni infantili, raggi bassi del sole d’inverno… è un’attimo. L’estate di San Martino ha le ore contate.