FLAMBRO – 12 NOVEMBRE 2020
Semplici richiami
La zona di risorgive tra Flambro e Virco, rispettivamente a sinistra e a destra de “la Grande”, antica strada bianca che scende verso Sterpo, è uno degli ambienti umidi planiziali più interessanti della regione, grazie alla tutela ed ai ripristini ambientali degli ultimi decenni. Ripristinare, restituire il mal tolto, riconoscere anche allo stato selvaggio dei luoghi una loro importanza, una loro utilità, non solo per le comunità naturali, ma di riflesso anche per noi. Queste terre di bassa pianura, dopo migliaia d’anni di bosco vergine, alternato a zone paludose aperte, torbiere e lembi di prateria umida, vennero in buona parte bonificate, senza tanti convenevoli, negli anni ‘20. C’era da sfamare il popolo italico, malconcio e denutrito dalla Grande Guerra. Che fare allora dei boschi di pianura? Via! Largo all’aratro. E delle specie uniche al mondo che vivevano in quelle zona? Prima la polenta! Sacrosante considerazioni, se fatte a stomaco vuoto. Fatto sta che per miracolo queste specie floristiche e faunistiche sono sopravissute ai riordini, alle scoline, ai coltivi, rifugiandosi in quei pochi fazzoletti di terra zuppa che non sono andati incontro al prosciugamento. Quasi un secolo dopo, la nuova consapevolezza ambientale, o coscienza ecologica, o chiamatela come vi pare, anche pancia piena, ha riconosciuto il valore e l’importanza di questi “relitti” naturalistici, che più correttamente andrebbero chiamati tesori, scrigni, patrimoni. Grazie a soldini europei e competenze scientifiche nostrane, alcuni ordinati arativi sono stati riconvertiti in spartani acquitrini; qualche fila di pioppi è stata restituita al bosco caotico di ontani, querce, frassini ossifili. Poca roba, ben s’intende, stiamo parlando di qualche ettaro, qualche zero virgola per cento rispetto alle imperanti monocolture agrarie. La cosa bizzarra, passeggiando all’interno di questi piccoli ripristini ambientali, non è tanto il piacere di ritrovarvi sani e salvi l’Erucastrum palustre, l’Armeria helodes, l’Euprhasia marchesetti, o tante altre specie endemiche, uniche al mondo e tipiche di questo territorio, bensì il fatto di riconoscersi maggiormente nel caos naturale, cioè in questi ambienti liberi di evolversi secondo regole a noi sfuggenti, piuttosto che nelle squadrate distese di campi senza siepi. La cosa bizzarra è la voglia d’intrattenerci al’interno di questi ecosistemi naturali o naturalizzati, in grado di trasmetterci un grande senso di libertà, ben consci dell’ordine e della sterilità biologica che li circonda. Il richiamo selvaggio non è prerogativa delle montagne inaccessibili o delle valli remote, non è un dono riservato solo a provetti escursionisti ed esploratori coraggiosi. È una banale necessità che un luogo di pianura, concesso alla libera evoluzione, a due passi da casa, può suscitare con semplicità anche nel più sedentario dei pantofolai. È qualcosa che ci appartiene, e in posti come questi viene a galla sempre, come l’acqua di risorgiva.